Benvenuto
Ferdinando nel mio piccolo mondo, e grazie per averci permesso di conoscerti un
po’.
Parto
chiedendoti di presentarti a chi ancora non ti conosce, cosa fai nella
quotidianità, chi sei come persona?
Intanto
grazie a te e a chi si prenderà il tempo di leggere questa intervista.
Nel mio
quotidiano sono uno psicologo clinico, uno psicoterapeuta e insegno Psicologia
all’Università di Northampton, nel Regno Unito.
Si è
trattato di una scelta maturata oramai cinque anni fa, sia per il desiderio di
esplorare mondi nuovi, che ho sempre avuto dentro, sia per sottrarmi a certe
logiche del mercato del lavoro italiano che cominciavano a starmi molto strette.
Come
persona amo definirmi un uomo delle caverne che ha
imbrogliato tutti ed è
riuscito a passare per intellettuale. Questo perché, conoscendomi di primo
acchito, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte a una persona
razionale e meditativa, mentre in realtà sono una creatura di puro
istinto, sempre a caccia di emozioni e quasi vittima delle mie passioni.
Ferdinando
scrittore, quando hai iniziato a scoprire questa tua passione? Ricordi qual è
stata la prima cosa che hai scritto, la custodisci ancora? Parlacene un po’!
L’idea
di pubblicare è recente, non più di due anni fa, ma la passione
per la scrittura la scoprii da bambino. Il mio vicino di casa mi regalò una
Olivetti per il compleanno, una di quelle (oggi) obsolete, anacronistiche,
pesanti macchine per scrivere di una volta. Adoravo il suono meccanico che si
diffondeva ogni volta che premevo un tasto, lo scampanellio che ti avvisava
quando era ora di andare a capo, l’impronta dell’inchiostro sulla carta. Stavo
ore seduto a scrivere qualunque cosa, soprattutto racconti Horror, perché Poe
era il mio idolo. Avevo dieci anni e non ho più smesso.
Le cose
che ho scritto cerco più che altro di dimenticarle, però mia madre le
conserva tutte, perfida. Nella mia visione personale dell’Aldilà sono
morto e vado all’Inferno, e come punizione mia madre declama ad alta voce i
miei scritti di bambino davanti a una platea di mille persone.
Il
kamikaze di Cellophane è il primo libro che pubblichi? Ce lo racconti un po’?
È un
romanzo strano, un thriller atipico. Se lo guardi da lontano è il racconto di
una vendetta, ma osservandolo più da vicino è soprattutto una
storia di seconde possibilità.
È
ambientato ai giorni nostri, in quella che, fino al 2014, era la mia città, Milano.
Milano
è un po’ come una di quelle fidanzate che, finché ci stai assieme,
non fai che detestarne i difetti, pensare a quanto sarebbe più facile la
vita senza di lei. Poi, quando vi lasciate, ti accorgi di quanto ti sia rimasta
dentro, appiccicata alla pelle. È una città maledetta, a volte aliena e ostile,
altre amorevole come una madre, qualche volta un tantino puttana. Michele, il
protagonista del romanzo, li scopre un po’ tutti, questi volti.
Com’è nata
l’dea di questa storia, cosa ti ha ispirato e quanta ricerca c’è dietro?
Non ho
fatto corsi di scrittura creativa e non ho letto manuali, ma una cosa penso di
averla capita: scrivi ciò che sai.
L’ispirazione
per il romanzo nasce dalla mia esperienza di psicoterapeuta, dal rendermi conto
di come spesso ciò che ci rende fragili, vulnerabili, “matti”, è anche
la qualità unica che ci rende speciali.
Ho
creato un personaggio che estremizzasse questo concetto, qualcuno in grado di
usare la propria sofferenza psicologica come un super-potere, una vista a
raggi x
che gli permette di vedere dietro le apparenze e le maschere che le persone gli
pongono di fronte. La sua è una indagine illogica, allucinatoria, guidata da
intuizioni che una persona “normale” non avrebbe mai. È la
sua capacità di vedere il mondo con occhi diversi a permettergli di fare ciò che
fa.
Cosa ti
ha spinto a pubblicare? Self o Ce la tua esperienza e cosa ne pensi di queste
due realtà?
Ho
fatto leggere il romanzo a un’amica e mi ha detto “questa storia DEVE
uscire. È stata convincente.
Ho
pubblicato con Prospero Editore e la mia esperienza è positiva. Non
pubblicherei in Self perché non avrei idea di come muovermi, io amo scrivere e
basta, so fare a malapena quello. Tutte le altre capacità necessarie per adire
la via del Self mi sono sconosciute. Inoltre, mi piace l’idea di una mediazione
con il mondo, di un occhio esperto che legga il tuo libro e si prenda il
rischio di pubblicarlo a sue spese. Perché, intendiamoci, se vi chiedono anche
solo un euro non è una casa editrice, è una tipografia.
Hai
delle abitudini o rituali quando scrivi?
Nessuno,
non me li posso permettere. Scrivo quando posso, dove posso e come posso. L’unico
rituale che si è instaurato, per necessità, è la correzione
ortografica sul computer di mia moglie Elisa.
Il mio
è configurato in lingua inglese, quindi non corregge i refusi italiani. Quando
faccio “girare” il romanzo sul computer di Elisa, significa che sono
quasi pronto a lasciarlo andare.
Che
tipo di lettore sei? Parlaci di cosa ami leggere e come (luogo,momento etc.).
Sono un
lettore da vasca da bagno, perché è rimasto l’unico momento in cui posso
restare solo con me stesso. In quanto a
generi, ho una ovvia passione per il
thriller e il noir, ma leggo (quasi) di tutto: fantascienza, storici, narrativa
non di genere. Tra i miei autori preferiti ci sono, tanto per fare un giro tra
i millenni,
Eschilo,
Poe, Dostoevskj, Palanhiuk e una scoperta recente, Tim Parks.
Cos’è per
te scrivere?
La
libertà di creare universi in cui ogni cosa è possibile.
Sei
anche admin di un gruppo su fb “il paradiso di Caino” molto
particolare e diverso da altri a mio parere, com’è nato e racconta un po’ a
chi non lo conosce cosa fate e proponete.
È una
bella domanda. L’idea è nata da un evento particolare che ha toccato
una mia cara amica, licenziata per aver pubblicato un romanzo erotico. Mi sono
reso conto di come sia facile essere reietti, anche in un mondo che dovrebbe
essere per sua natura inclusivo come quello dell’arte e della letteratura.
Così,
assieme a Claudia Speggiorin, scrittrice e poetessa che consiglio a tutti di
leggere, abbiamo pensato a un gruppo che desse voce proprio a quella
popolazione reietta di artisti e scrittori che fatica a farsi apprezzare
altrove.
Quando l’abbiamo
creato, non avevamo la minima idea di cosa sarebbe diventato e devo confessarti
che il suo sviluppo mi ha sorpreso. Senza alcuna iniziativa da parte nostra, è
stato eletto a punto d’approdo di bravissimi poeti. Io, che con la
poesia
non ci ho mai saputo fare, sono stato sorpreso e incantato da questa deriva.
Non li abbiamo chiamati, sono arrivati, come rondini che durante una delle loro
migrazioni trovino un luogo amico e lo eleggano a propria casa, sia pure di
passaggio. Oggi credo, e non è presunzione, che alcuni dei versi più belli
che si possano trovare nel web stiano nel nostro piccolo Paradiso.
L’altro
aspetto che amo è che non abbiamo dovuto fissare alcuna regola: le
persone postano i propri contenuti, ma lo fanno in modo rispettoso, in punta di
piedi, leggono e commentano quelli altrui senza bisogno di forzature o
restrizioni da parte degli amministratori. Tu che gestisci un gruppo sai quanto
sia rara e preziosa questa cosa. Solo una regola è ferrea da noi, e ho dovuto
applicarla in un paio di occasioni: chi si rivolge in tono offensivo verso
altri utenti è fuori, senza appello e senza ritorno.
Infine
come mia consuetudine ti chiedo se hai una frase (tua o di altri) a cui sei
particolarmente legato e se ti va spiega il perché.
Te ne
lascio una mia. È tratta da “Il kamkaze di cellophane”, un passaggio nel
quale il protagonista racconta il proprio lento, quasi invisibile discendere
verso la follia:
La
follia è una festa con mille invitati, nella quale tu sei l’unico in costume.
E una
di Ernest Hemingway. Non è tratta da uno dei suoi romanzi, ma da una lettera
che scrisse a Francis Scott Fitzgerald, nella quale parlava dei matador. Mi è
rimasta impressa perché unisce eleganza e sprezzo del pericolo in un’unica
frase:
Courage
is grace under pressure.
Meravigliosa,
qualcosa cui aspirare.
Grazie mille
per questa chiacchierata, a presto e in bocca al lupo. Emanuela.
Grazie
a te! Un saluto a tutti e anche al lupo.
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