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mercoledì 15 maggio 2019

Intervista all'autore Ferdinando Salamino


Benvenuto Ferdinando nel mio piccolo mondo, e grazie per averci permesso di conoscerti un po’.

Parto chiedendoti di presentarti a chi ancora non ti conosce, cosa fai nella quotidianità, chi sei come persona?

Intanto grazie a te e a chi si prenderà il tempo di leggere questa intervista.
Nel mio quotidiano sono uno psicologo clinico, uno psicoterapeuta e insegno Psicologia all’Università di Northampton, nel Regno Unito.
Si è trattato di una scelta maturata oramai cinque anni fa, sia per il desiderio di esplorare mondi nuovi, che ho sempre avuto dentro, sia per sottrarmi a certe logiche del mercato del lavoro italiano che cominciavano a starmi molto strette.
Come persona amo definirmi un uomo delle caverne che ha
imbrogliato tutti ed è riuscito a passare per intellettuale. Questo perché, conoscendomi di primo acchito, si ha spesso l’impressione di trovarsi di fronte a una persona razionale e meditativa, mentre in realtà sono una creatura di puro istinto, sempre a caccia di emozioni e quasi vittima delle mie passioni.

Ferdinando scrittore, quando hai iniziato a scoprire questa tua passione? Ricordi qual è stata la prima cosa che hai scritto, la custodisci ancora? Parlacene un po’!

 L’idea di pubblicare è recente, non più di due anni fa, ma la passione per la scrittura la scoprii da bambino. Il mio vicino di casa mi regalò una Olivetti per il compleanno, una di quelle (oggi) obsolete, anacronistiche, pesanti macchine per scrivere di una volta. Adoravo il suono meccanico che si diffondeva ogni volta che premevo un tasto, lo scampanellio che ti avvisava quando era ora di andare a capo, l’impronta dell’inchiostro sulla carta. Stavo ore seduto a scrivere qualunque cosa, soprattutto racconti Horror, perché Poe era il mio idolo. Avevo dieci anni e non ho più smesso.

Le cose che ho scritto cerco più che altro di dimenticarle, però mia madre le conserva tutte, perfida. Nella mia visione personale dell’Aldilà sono morto e vado all’Inferno, e come punizione mia madre declama ad alta voce i miei scritti di bambino davanti a una platea di mille persone.






 Il kamikaze di Cellophane è il primo libro che pubblichi? Ce lo racconti un po’?

È un romanzo strano, un thriller atipico. Se lo guardi da lontano è il racconto di una vendetta, ma osservandolo più da vicino è soprattutto una storia di seconde possibilità.
È ambientato ai giorni nostri, in quella che, fino al 2014, era la mia città, Milano.
Milano è un po’ come una di quelle fidanzate che, finché ci stai assieme, non fai che detestarne i difetti, pensare a quanto sarebbe più facile la vita senza di lei. Poi, quando vi lasciate, ti accorgi di quanto ti sia rimasta dentro, appiccicata alla pelle. È una città maledetta, a volte aliena e ostile, altre amorevole come una madre, qualche volta un tantino puttana. Michele, il protagonista del romanzo, li scopre un po’ tutti, questi volti.


Com’è nata l’dea di questa storia, cosa ti ha ispirato e quanta ricerca c’è dietro?

Non ho fatto corsi di scrittura creativa e non ho letto manuali, ma una cosa penso di averla capita: scrivi ciò che sai.
L’ispirazione per il romanzo nasce dalla mia esperienza di psicoterapeuta, dal rendermi conto di come spesso ciò che ci rende fragili, vulnerabili, “matti”, è anche la qualità unica che ci rende speciali.
Ho creato un personaggio che estremizzasse questo concetto, qualcuno in grado di usare la propria sofferenza psicologica come un super-potere, una vista a
raggi x che gli permette di vedere dietro le apparenze e le maschere che le persone gli pongono di fronte. La sua è una indagine illogica, allucinatoria, guidata da intuizioni che una persona “normale” non avrebbe mai. È la sua capacità di vedere il mondo con occhi diversi a permettergli di fare ciò che fa.

Cosa ti ha spinto a pubblicare? Self o Ce la tua esperienza e cosa ne pensi di queste due realtà?

Ho fatto leggere il romanzo a un’amica e mi ha detto “questa storia DEVE uscire. È stata convincente.
Ho pubblicato con Prospero Editore e la mia esperienza è positiva. Non pubblicherei in Self perché non avrei idea di come muovermi, io amo scrivere e basta, so fare a malapena quello. Tutte le altre capacità necessarie per adire la via del Self mi sono sconosciute. Inoltre, mi piace l’idea di una mediazione con il mondo, di un occhio esperto che legga il tuo libro e si prenda il rischio di pubblicarlo a sue spese. Perché, intendiamoci, se vi chiedono anche solo un euro non è una casa editrice, è una tipografia.

Hai delle abitudini o rituali quando scrivi?

Nessuno, non me li posso permettere. Scrivo quando posso, dove posso e come posso. L’unico rituale che si è instaurato, per necessità, è la correzione ortografica sul computer di mia moglie Elisa.
Il mio è configurato in lingua inglese, quindi non corregge i refusi italiani. Quando faccio “girare” il romanzo sul computer di Elisa, significa che sono quasi pronto a lasciarlo andare.

 Che tipo di lettore sei? Parlaci di cosa ami leggere e come (luogo,momento etc.).

Sono un lettore da vasca da bagno, perché è rimasto l’unico momento in cui posso restare solo con me stesso. In quanto a
generi, ho una ovvia passione per il thriller e il noir, ma leggo (quasi) di tutto: fantascienza, storici, narrativa non di genere. Tra i miei autori preferiti ci sono, tanto per fare un giro tra i millenni,
Eschilo, Poe, Dostoevskj, Palanhiuk e una scoperta recente, Tim Parks.

Cos’è per te scrivere?

La libertà di creare universi in cui ogni cosa è possibile.

Sei anche admin di un gruppo su fb “il paradiso di Caino” molto particolare e diverso da altri a mio parere, com’è nato e racconta un po’ a chi non lo conosce cosa fate e proponete.


È una bella domanda. L’idea è nata da un evento particolare che ha toccato una mia cara amica, licenziata per aver pubblicato un romanzo erotico. Mi sono reso conto di come sia facile essere reietti, anche in un mondo che dovrebbe essere per sua natura inclusivo come quello dell’arte e della letteratura.
Così, assieme a Claudia Speggiorin, scrittrice e poetessa che consiglio a tutti di leggere, abbiamo pensato a un gruppo che desse voce proprio a quella popolazione reietta di artisti e scrittori che fatica a farsi apprezzare altrove.
Quando l’abbiamo creato, non avevamo la minima idea di cosa sarebbe diventato e devo confessarti che il suo sviluppo mi ha sorpreso. Senza alcuna iniziativa da parte nostra, è stato eletto a punto d’approdo di bravissimi poeti. Io, che con la
poesia non ci ho mai saputo fare, sono stato sorpreso e incantato da questa deriva. Non li abbiamo chiamati, sono arrivati, come rondini che durante una delle loro migrazioni trovino un luogo amico e lo eleggano a propria casa, sia pure di passaggio. Oggi credo, e non è presunzione, che alcuni dei versi più belli che si possano trovare nel web stiano nel nostro piccolo Paradiso.
L’altro aspetto che amo è che non abbiamo dovuto fissare alcuna regola: le persone postano i propri contenuti, ma lo fanno in modo rispettoso, in punta di piedi, leggono e commentano quelli altrui senza bisogno di forzature o restrizioni da parte degli amministratori. Tu che gestisci un gruppo sai quanto sia rara e preziosa questa cosa. Solo una regola è ferrea da noi, e ho dovuto applicarla in un paio di occasioni: chi si rivolge in tono offensivo verso altri utenti è fuori, senza appello e senza ritorno.

Infine come mia consuetudine ti chiedo se hai una frase (tua o di altri) a cui sei particolarmente legato e se ti va spiega il perché.

Te ne lascio una mia. È tratta da “Il kamkaze di cellophane”, un passaggio nel quale il protagonista racconta il proprio lento, quasi invisibile discendere verso la follia:

La follia è una festa con mille invitati, nella quale tu sei l’unico in costume.

E una di Ernest Hemingway. Non è tratta da uno dei suoi romanzi, ma da una lettera che scrisse a Francis Scott Fitzgerald, nella quale parlava dei matador. Mi è rimasta impressa perché unisce eleganza e sprezzo del pericolo in un’unica frase:

Courage is grace under pressure.

Meravigliosa, qualcosa cui aspirare.
Grazie mille per questa chiacchierata, a presto e in bocca al lupo. Emanuela.
Grazie a te! Un saluto a tutti e anche al lupo.


 

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