Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio
Italo Calvino
Copertina flessibile: 197 pagine
Editore: Mondadori
(28 giugno 2016)
Collana: Oscar
moderni
Nate come testi per un ciclo di conferenze
da tenere ad Harvard queste lezioni costituiscono l'ultimo insegnamento di un
grande maestro: una severa disciplina della mente, temperata dall'ironia e
dalla consapevolezza di non poter giungere ad una conoscenza assoluta.
Presentazione di Esther Calvino e postfazione di Giorgio Manganelli.
Recensione
Non
è possibile recensire le Lezioni
Americane, Calvino scrive questi appunti in previsione di una serie di sei
conferenze che viene chiamato a discutere in altrettante università americane,
e noi abbiamo la fortuna di poter continuare a sentire la sua voce attraverso
questo breve saggio.
La
mia non sarà quindi una recensione come quelle a cui siete abituati, ma vi
voglio spiegare perché secondo me vale la pena di leggere questo testo,
soprattutto se avete fatto della scrittura una passione o se amate fare
dell’analisi letteraria.
Le
Lezioni Americane non sono un manuale
di scrittura creativa come quelli a cui siamo abituati, Calvino non vi propone
regole ed esercizi, ma vi costringe a pensare, per fare in modo che sia la
vostra stessa mente la pietra con cui affilare le lame della vostra fantasia.
Ogni
capitolo è dedicato ad una lecture, e
ogni lezione ha un tema. Sebbene tutti interessanti, ho apprezzato maggiormente
la prima, dedicata alla leggerezza,
contrapponendola al peso e sostenendone le ragioni.
“Presto
mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia
materia prima e l’agilità scattante e tagliante che volevo animasse la mia
scrittura c’era un divario che mi costava sempre più sforzo superare.
Forse
stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo:
qualità che s’attaccavano subito alla scrittura, se non si trova il modo di
sfuggirle.”
Per
farci meglio comprendere la lezione Calvino ci dice come fare, ma offre degli
esempi e scopre davanti ai nostri occhi le minime tracce luminose contrapposte
alla buia catastrofe di Eugenio Montale,
o la neve senza vento che evoca un movimento lieve e silenzioso di Dante.
Calvino
si serve di Cavalcanti per spiegarci
davvero con poche parole come dare leggerezza a ciò che scriviamo, e individua
almeno tre metodi diversi per farlo:
·
Alleggerire
il linguaggio convogliando i significati
su un tessuto verbale come senza peso, fino ad assumerne la stessa rarefatta
consistenza.
·
Narrare
un ragionamento o un processo psicologico in cui agiscono elementi sottili e impercettibili, o qualsiasi descrizione che
comporti un alto grado di astrazione (e, se mi conoscete sapete che amo la
scrittura di J.K. Rowling, a me sono venuti in mente i cieli trapuntati di
stelle di Harry Potter, e il cielo
di velluto blu scuro nella serie del detective Cormoran Strike).
·
Utilizzare
un’immagine figurale di leggerezza
che assuma un valore emblematico, come, nella novella di Boccaccio, Cavalcanti che volteggia con le sue smilze gambe sopra
la pietra tombale.
Non
analizzerò anche le restanti lezioni, ma se quello che vi ho raccontato a
proposito della leggerezza affrontata dal punto di vista di Calvino vi ha
interessato, credo che sia impossibile non correre a meditare su ciò che ancora
ci può dire riguardo a rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, iniziare e finire (inedito, ricavato
dai manoscritti preparatori delle Norton
Lectures).
Tutte
le “realtà” e le “fantasie” possono prendere forma solo attraverso la
scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienza e
fantasia appaiono composte della stessa materia verbale…
Alla
prossima, Elena.
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