THE UNDRESSED SERIES
«Perché mi fai questo?»
domandai con la gola stretta. Spuntò una lacrima, che cancellai immediatamente.
Non potevo cascarci di nuovo.
«E tu perché lo stai
facendo a me? Pensi che non abbia un cuore? Pensi che non si sia spezzato
quando ho visto la mia casa vuota?» sibilò con risentimento, strattonandomi
appena. Anche i suoi occhi parvero lucidi. Aveva smesso di giocare. Aveva
abbandonato ogni sarcasmo. Ora era tutto cuore, tutto stomaco.
«Lasciami!»
«Perché dovrei farlo?
Tu vuoi essere presa. Tu vuoi essere trovata. Tu vuoi essere vista, raggiunta,
plasmata. Da me, dal tuo creatore.»
(da Undefined)
Attraverso
le barocche contraddizioni della peccaminosa New Orleans, i paesaggi rurali
della Louisiana, le acque più torbide del Mississippi, la serie Undressed racconta le
avventure erotiche della giovanissima e sprovveduta Charlotte e dei due
irriverenti artisti che la dipingono: James La Salle, suo capo e padrone, e
Robin Delacroix, il loro sensuale amante dalla pelle scura.
-ATTENZIONE-
Questa novella contiene scene di sesso
esplicite. Se ne consiglia la lettura a un pubblico adulto e consapevole.
N. Pagine: 366
Genere: Erotic Romance
Prezzo: ebook 2,99; cartaceo 14,99
Cover di Catnip Design
BIOGRAFIA
Moloko Blaze vive con il
suo compagno in un luogo ai confini del sogno. Divide il suo mondo di fantasia
in due anime: il contemporary romance,
che scrive da sette anni con un altro pseudonimo, e l’erotico, che sperimenta
da meno tempo ma che le permette di attraversare zone più in ombra, dove il
sole arriva raramente.
La sua produzione erotica
è composta dalle novelle “Undressed”, “Untold” e “Undefined”, raccolte nel
volume “The Undressed Series”. La prossima pubblicazione s’intitolerà “Playing
Time”, un erotic romance ambientato
nel mondo dell’off Broadway di New York. Ama la sua privacy e la difende con
ogni mezzo.
Estratti da Undressed
James mi osservò con orgoglio, un sorriso sinistro affiorò
sulle sue labbra. «Avevi ragione, Robin, la ragazzina impara in fretta.»
Entrambi si alzarono, ergendosi sopra il mio corpo inanimato
sul tappeto. Mi osservavano dall’alto come se fossi una strana creatura e
stessero cercando di interpretare la mia espressione. Ero spaventata, certo, ma
mi sentivo bene. Li desideravo, come non avevo desiderato niente nella mia
vita.
Appartenevano a me, erano miei.
Li osservavo mentre, con una lentezza estenuante, si
toglievano i vestiti, uno strato dopo l’altro. Fino a che non rimase nulla,
solo le tonalità desertiche della pelle di James e quelle notturne della pelle
di Robin. La Salle si sedette nuovamente sulla poltrona, un regista silenzioso
che muoveva i suoi attori come se fossero estensioni di sé. Mi sbagliavo: noi
appartenevamo solo a lui e a nessun altro. Era lui il nostro unico padrone,
colui che ci plasmava a proprio piacimento.
Robin guardò me e poi James, prima di gattonare lentamente,
una pantera che si muoveva sinuosa verso il nostro signore seduto sul suo
trono.
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«Fammi vedere la tua carta d’identità.»
Spalancai gli occhi, incredula. «Le ho già detto che sono
maggiorenne!» sbottai.
«A me sembri solo un ragazzino in technicolor che puzza
ancora di latte. Mostrami un documento.»
Sollevò la mano col palmo all’insù, in attesa.
Roteai gli occhi al cielo, feci quanto mi stava chiedendo:
tirai fuori dallo zaino il portafoglio e gli sbattei in faccia la mia carta di
identità, ignorando la sua mano.
Appurato il fatto che il “ragazzino in technicolor” avesse
detto la verità, si fece da parte per farmi entrare nel suo studio. Feci un
passo avanti, ma mi bloccai poco oltre la soglia.
«Entra, forza. Sei in ritardo di almeno dieci minuti.»
Parole implacabili per un tono implacabile. «Ho cacciato via la modella
precedente per i suoi ritardi e la sua maleducazione. Non farmi pentire già dal
primo giorno.»
Mi guardai intorno, in cerca di uno spogliatoio. Non ne
trovai. Ciò che mi balzò agli occhi però era la serie di quadri di persone
nude, uomini e donne, in pose trasgressive, nei toni di colore che sembravano
ispirarsi alla pop art. Nulla a che vedere con l’arte di Velázquez, Goya,
Tiziano, Ingres, Botticelli. Qui non c’era rispetto per alcuna regola formale,
tecniche pittoriche si mischiavano con il collage, con il frottage, con la
fotografia, con l’action painting, con i supporti e i materiali più eterogenei,
fino ad arrivare alla sperimentazione pura. Nulla di nuovo in fondo, ero una
studentessa di arte e ne avevo viste di cotte e di crude. Ma ciò che mi
sconvolse erano i soggetti. Le ragazze, senza nulla addosso, erano umiliate e
sottomesse nelle posizioni più perverse che avessi mai visto. Io avrei dovuto
fare… questo?
E poi lo sentii, secco come una frustata sulla schiena,
l'ordine a cui, da oggi in avanti, avrei obbedito ogni singolo giorno, per
molto, moltissimo tempo.
«Sali su quella pedana e togliti i vestiti.»
Estratti
da Untold
Scossi
la testa, anche se in realtà cominciavo davvero a capire come funzionassero la
sua testa e il suo cuore.
«E
amo Robin perché gli ho salvato la vita. L’ho protetto ed è mio, quasi quanto
lo sei tu.»
Mi
divincolai. «Sei pazzo.»
Mi
riacciuffò premendomi ancora al suo corpo teso. Gli leggevo una strana angoscia
negli occhi, quella di chi ha paura di perdere la propria donna.
Lo
fissai sconvolta, il mio corpo agonizzante era ormai abbandonato alle sue
braccia.
«Lo
hai detto tu stessa. Ricordi? Sei come noi. Sì, mia cara, sei proprio come noi.
Mi dici che sono pazzo. Sì, forse. Ma lo sei anche tu.» Mi afferrò un polso per
sollevare il braccio e mostrarmi l’intreccio dei miei vecchi tagli
autoinflitti.
Gli
strappai il mio braccio dalla mano e negai: «Io non sono come te, mi dispiace.»
«Sei
esattamente come me, Charlotte, per questo mi spaventi.»
Deglutii
per trattenere un pianto incontrollato. Quando James vide i miei occhi farsi
lucidi, strinse i miei polsi con più forza, scosso in profondità. Quel
comportamento da folle non mi apparteneva di certo, eppure sentivo che
finalmente potevo davvero lasciare andare qualcosa. Una lacrima, molte lacrime.
Una dopo l’altra sgorgavano leggiadre dai miei occhi, mentre lentamente
ricominciavo a respirare.
«Così,
sfogati.»
Rotolò
giù dal mio stomaco e mi trascinò con sé, sul suo petto, abbracciandomi. «Piangi se ti fa stare meglio.»
Avrei voluto dirgli
tante cose.
Avrei
voluto confessargli quanto poco di me avesse lasciato al suo passaggio. Era
stato un uragano che aveva fatto piazza pulita di ciò che ero e che mi aveva
ricostruita a suo piacimento. Ma l’unica cosa che mi uscì dalle labbra fu: «Io ti amo, James.»
Patetica, piccola, inutile Charlotte.
Il suo petto oscillò come un’onda. Lo sentii sospirare sotto
il mio orecchio, come a suggerirmi che se lo fosse aspettato. E questo fu
ancora più umiliante, di tutto ciò che avevo subito in quell’infinita giornata.
Mi strinse più forte, forse per prepararmi alle terribili
parole che stava per scagliarmi addosso: «Oh Charlotte, tu mi ami soltanto
perché io ti ho distrutta e ricostruita perché ti fidassi di me, perché mi
obbedissi, perché ti lasciassi andare solo con me, perché dipendessi da me. Tu
mi ami come un cucciolo che aspetta una ciotola di cibo dal suo padrone. Tu
credi di amarmi Charlotte, ma non sai nemmeno di che parli.»
Estratti
da Undefined
Accompagnò il bicchiere alla mia bocca, schiusa e assetata.
Assaporai da lui il gusto tiepido del bourbon, la nota fruttata che
improvvisamente diventava piccante in modo quasi fastidioso. Doloroso. Come era
lui. Non mi fece finire, conservò un po’ di quel liquido compatto all’interno
del bicchiere e vi inzuppò il pollice. Con una naturalezza surreale accarezzò
le mie labbra dipingendole con quella patina dolciastra, bollente e gelata allo
stesso tempo.
Le mie ciglia sfarfallarono ad accogliere lo stordimento che
stavo provando. Distolsi la bocca, scostandomi. Non volevo più essere una
vittima dei suoi giochetti, non potevo più continuare a vivere in trance,
soggiogata dalle sue arti magiche. Dovevo svegliarmi da quel maledetto
incantesimo. Afferrai il suo polso e lo fermai.
«Non siamo qui per giocare, James.»
Percepivo la disperazione attraverso il suo movimento così
insistente, così invadente. Una disperazione che faceva eco alla mia, perché
anch’io volevo dimenticare James, attraverso di lui. Almeno per una notte. Solo
che non sapevo come fare, non ero capace di misurarmi con lui. Con lui da solo.
Io e Robin eravamo due onde che, dopo essersi scontrate
sugli scogli, fuggivano di nuovo verso l’orizzonte, nell’inutile tentativo di
ignorare la forza abissale che le riportava inesorabilmente indietro.
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