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martedì 21 aprile 2020

Segnalazione - Pâtisserie Française. Macarons in cerca d’amore - di Margherita Fray


Titolo: Pâtisserie Française. Macarons in cerca d’amore.
Autrice: Margherita Fray
Cover: Catnip Design
Genere: Chick lit
Data di uscita: 21 aprile 2020
Prezzo: 2,99 euro
Finale: Autoconclusivo

Trama

Veronica, una venticinquenne romana, si presenta a un colloquio alla Pâtisserie Française. Ed è proprio lì che si imbatte in Pierre Mureau, l’affascinante quanto arrogante, capo pasticcere della pasticceria. Molto francese, molto bello, perfezionista fino alla psicosi. Trova offensivo e riprovevole circa il 90% di quello che fa Veronica. Il suo primo incontro con Pierre non è dei più allegri. Dire che lui la consideri una buona a nulla è riduttivo. Di tutt’altro avviso è Eleonora, la proprietaria della pasticceria, che al contrario del capo pasticcere, è propensa a darle un’opportunità. Quello che all’inizio sembrerà il giusto mix per un disastro, riesce lentamente a diventare altro: Veronica conoscerà lati piacevoli di Pierre che non avrebbe mai immaginato... finché non scoprirà che anche l’irreprensibile Mureau ha dei segreti piuttosto ingombranti.
Sullo sfondo di una Roma torrida e asfissiante, Veronica conosce una versione più matura e adulta di sé, e impara cosa sono l'amicizia e l’amore.


Pâtisserie Française: macarons in cerca d’amore.
“Oui, ma non chiamateli pas amaretti

Raccogliete i capelli in una coda, indossate il grembiule e lasciate che il nuovo romanzo di Margherita Fray – in uscita il 21 aprile su tutti gli store digitali – vi trascini nel laboratorio della famosa Pâtisserie Française di Roma. Al di qua della porta a ventola la temperatura è alle stelle, avrete l’impressione che vi manchi quasi l’aria. Ma sappiate che il calore dei forni e l’afa di luglio c’entrano poco. A scaldare l’atmosfera sono i continui battibecchi tra Pierre e Veronica, che non ne vogliono sapere di lasciare all’altro l’ultima parola.

Secondo la ricetta più in voga alla Pâtisserie Française, c’è un ingrediente che non può mai mancare tra un guscio di “ouie uno di “pas: uno strato di altezzosità q.b. a provocare l’ultima assunta Veronica Neri. È una ganache che va lavorata con maestria e non esce dal beccuccio di una sac à poche, ma dalla bocca del pasticcere Pierre Mureau, che dal giorno del colloquio proprio non riesce a trattenersi dal rifilare alla sua nuova assistente dei friabili macarons ripieni di sarcasmo.
Il pasticcere fatica a comprendere “parce que” Eleonora, il suo capo, abbia scelto di affiancargli una ragazza che ha una laurea in biologia e nessuna competenza in materia di dolci. Veronica, invece, non sopporta l’intransigenza di Pierre. Le sembra di assistere a una sorta di déjà vu: l’atteggiamento del ragazzo le ricorda quello di sua madre, che in venticinque anni di vita non gliene ha fatta mai passare una. Ecco perché sa come fare a tenere testa al francese.
«Oui, a noi le pasticcere non piacciono pas preparate, ci piacciono ribelli», avrebbe da ridire lui.
Ma, in ogni caso, capirete presto che a Pierre Veronica piace e viceversa. Perché prima che sui gusci dei macarons, gli occhi del pasticcere si posano sulla ragazza che li assembla. Mentre lei, da parte sua, non riesce a distogliere lo sguardo dalle braccia che mescolano la farcitura. La ganache assorbe la libidine che c’è nell’aria e il sarcasmo assume il sapore del corteggiamento. Macaron dopo macaron.  Biscotto dopo biscotto.
Pierre e Veronica si tollerano a malapena e sono attratti l’uno dall’altra: non fanno che contraddirsi. Ma avete presente la traduzione italiana di “macaron”? Sta per “amaretto” e anche questo è un controsenso per un dolcetto zuccheroso. Se ci pensate bene, sono le contraddizioni stesse a essere piuttosto melliflue. Altrimenti non si spiegherebbe il livello di confusione che sono capaci di causare: degno, per l’appunto, di un picco glicemico. E tra i due è Veronica, malcapitata nel ruolo di narratrice, a faticare per conservare un granello di lucidità. Per sua sfortuna, Pierre Mureau non è l’unica persona incoerente della sua vita. C’è anche Serena, che sarebbe la sua migliore amica ma si comporta da arpia. Per non parlare di suo fratello, che nel momento del bisogno la spinge via. E poi sua madre, che ostenta forza anche quando la paura la tormenta.
Veronica, allora, agisce come una vera apprendista pasticcera e passa al setaccio tutti i controsensi che le complicano la vita. Le sue intenzioni sono inequivocabili: vuole eliminare ogni grumo e ottenere l’impasto perfetto per dei macarons a basso contenuto di zuccheri.

Sarebbe una ricetta facile da eseguire, se non fosse per la voce che continua a risuonarle nella testa:
«Oui, ma non lo pensi pas».

Estratto 

«Quanti macarons hai fatto nella tua vita?» domanda, osservandomi mentre sollevo una metà di biscotto e la studio: sono davvero molto belli, lucidissimi, regolari e con il bordino intorno.
Non ne ho fatti molti. Ovviamente ci ho provato e ammetto che erano venuti piuttosto carini e buoni per essere la prima volta, però sicuramente non erano come questi.
La risposta sarebbe “Non abbastanza”, ma mi mantengo vaga con un: «Non li ho contati…» Deglutisco e gli lancio un’occhiata inquieta: Mureau mi sta fissando in attesa che sia più sincera.
«Alcuni» butto lì con nonchalance.
Lui mi osserva ancora, mi soppesa, per alcuni secondi gli unici rumori del laboratorio sono il ticchettio del timer-gallina e il raschiare della sua frusta sul fondo della pentola. Alla fine sospira, più arreso che arrabbiato. «Non so pas perché ti chiedo le cose» spiega.
Continua a mescolare e fissarmi, e io mi sento una ragazzina in attesa della punizione dopo una marachella. La situazione rischia di diventare decisamente più “Cinquanta sfumature di grigio” del voluto.
Sollevo un indice e senza aspettare il suo permesso dico: «Quello di Eleonora è l’unico contratto che firmerò.»
«Eh?» ribatte con una smorfia.
Scuoto la testa invitandolo a lasciar correre e continuare.
«Bien, dicevo. Non mi fido pas a lasciarti la mia crema» spiega tornando al fulcro della situazione. «Quindi prendine uno e fammi vedere.»
Sbuffo, ma faccio come dice: prendo metà macaron giallo, poi osservo tre sac à poche già riempite di creme. Ho paura di prendere la crema alla vaniglia invece di quella al limone: ne farebbe un caso di stato.
Mureau continua a fissarmi.
«Potresti aiutarmi» gli faccio notare senza guardarlo.
«Quella alla tua sinistra» si arrende a spiegarmi, mentre alza gli occhi al cielo esasperato. «Bastava che le annusassi. Una bambina di sette anni sarebbe più sveglia di te.»
«Un giorno saremo amici. Quel giorno mi spiegherai il perché di tutta quest’aggressività» prevedo poi recupero la sac à poche che mi ha indicato e faccio per spremere.
«Pensi di riuscire a mettere lo stesso quantitativo di crema in ognuno» mi interrompe proprio quando sono pronta. Non è una domanda, né un’affermazione. Nel dubbio annuisco.
«Non ci credo pas.»
«Conto» cerco di tranquillizzarlo.
«Conti?»
«Sì, conto» gli lancio un’occhiata. «Uno, due, stop.»
«Non far durare troppo l’uno» mi avverte.
Lo fisso immobile, ancora con lo stesso, disperato quanto me, mezzo macaron in una mano e la sac à poche nell’altra. «Come fa a durare troppo “uno”? È uno.»
«Prova a fare un, due.»
Il mio inconscio osserva il livello di frustrazione salire su, e ancora più su, fino a toccare le stelle. È quasi poetico.
Mi volto per dargli le spalle e mettere fine a quest’insostenibile conversazione. Lo sento borbottare quella che ha tutta l’aria di essere un’imprecazione in francese.
Provo la sac à poche sul dorso della mano, giusto per rendermi conto di quanto sia fluida la crema e quanta ne esca, prima di avvicinare il beccuccio al biscotto. Farcisco come ritengo opportuno, infischiandomene di quello che ne pensa Mureau, poi recupero l’altra metà e compongo questo povero macaron, rimasto solo troppo a lungo.
Mi volto e gli sbatto contro, sorprendendolo praticamente addosso a me, in punta di piedi, nell’evidente tentativo di sbirciare quello che stavo e sto ancora facendo. Lo spingo via arrossendo.
«Sei infantile, Mureau» lo rimprovero.
«Come ti pare. Fa vedere.»
Glielo mostro.
Si china e lo osserva come se potesse dedurne la composizione molecolare da uno sguardo. «Mh» dice infine.
Io sorrido furba: è il “mh” numero uno, quello che significa può andare.
«Quanto hai contato?» mi chiede sollevando lo sguardo su di me.
Assottiglio lo sguardo. «Non te lo dico.»
Sbuffa.
Circa un’ora dopo tutti gli ottanta macarons hanno trovato la loro anima gemella e se ne stanno tranquilli a godersi la vita coniugale in una scatola verde, immersi nella carta velina rosa. Una confezione molto di classe.
Mi fermo a studiarli prima di mettere il coperchio e Mureau mi si affianca per fare lo stesso: siamo gomito a gomito, in contemplazione dei macarons.
«Molto meglio di quanto temessi» osserva.
Gli lancio un’occhiata divertita. «Puoi anche dirlo, che sono stata brava.»
Ride e ricambia il mio sguardo. «Vuoi davvero che li giudichi?» domanda a voce bassa.
Lo trovo imprevedibilmente intimo, soli a parlottare vicini, mentre intorno a noi ci sono dieci milioni di gradi. Forse è per questo che sento tanto caldo.
«Sarai spietato?» domando mimando timore. I miei dolcetti sono piccoli e sensibili, potrebbero non sopportare un giudizio troppo amaro.
Si sbilancia verso di me spingendomi delicatamente. «Proverò a non esserlo troppo» promette.
Mi mordicchio le labbra da un lato, mentre annuisco incerta.
Lui si china sul cofanetto con attenzione e li fissa uno per uno, mentre continua a battersi delicatamente la punta del naso con l’indice. Lo ammetto, è un tic da concentrazione adorabile.
«Questo» inizia indicandone uno. «Questo e questo sono più pieni degli altri.»
Ha appena detto che sono grassi?
«Anche questo e questo. Qui – prosegue indicandone tre vicini – hai spinto troppo quando li hai accoppiati e si sono rovinati...» Si sofferma su uno e lo giudica colpevole. «Questo è storto.»
Lo fisso serissima. «Lo hai fatto piangere» dichiaro.
«Una prova discreta» conclude con un sorriso.
«Nove su ottanta non puoi definirla solo discreta» mi lamento.
Si stringe nelle spalle. «L’ho appena fatto» dice tornando a guarnire crostatine.
Gli faccio la linguaccia quando non guarda.
«Ti ho vista» mi avverte. «Va’ a chiamare Eleonora e dille che è tutto pronto.»



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