LE
AVVENTURE DEL CAPITANO DE CONTRERAS
di Alonso De
Contreras
Dimensioni file: 801 KB
Lunghezza stampa: 165
Editore: Longanesi
(3 maggio 2018)
SINOSSI
È il 1630 quando il capitano
Alonso de Contreras affida alla carta e all’inchiostro le proprie memorie
militaresche (e umane). Come fecero del resto molti tra i soldati spagnoli di
fanteria dell’epoca all’approssimarsi del tramonto dell’esistenza; chi per
ottenere favori o riconoscimenti, chi per vanagloria o nella speranza di
lasciare una traccia di sé ai posteri. Tutti o quasi accomunati da una
scrittura onesta e sobria, da un lato ereditata dall’abitudine al resoconto
asciutto, tipica di soldati e veterani qual è Contreras, dall’altro per lo
scarso se non inesistente bagaglio culturale dell’autore, che ne diventa
paradossalmente il punto di forza.
«Sono proprio l’assenza di ambizioni letterarie, la goffaggine narrativa, l’ingenuità tecnica a rendere così singolari quei racconti. Che, quanto ad esattezza priva di erudizione, naturalezza elementare, efficace e disinibita alta capacità descrittiva, superano la scrittura di mestiere trasformando ogni testimonianza in una miniera d’oro», come sottolinea l’autore della Prefazione. Disseppellita dall’oblio dopo tre secoli, infatti, l’autobiografia di De Contreras conquista la crème degli intellettuali europei di inizio Novecento, da José Ortega y Gasset a Sciascia, approdando sulla scrivania di Leo Longanesi negli anni ’40 e ispirando, mezzo secolo dopo, ad Arturo Pérez-Reverte il personaggio del capitano Alatriste. Tra i suoi punti di forza, il linguaggio vero, amalgama di un parlato e della lingua franca che risuonava nei porti del Mediterraneo dell’epoca, la sua sincerità, la memoria strabiliante, lo slancio narrativo che mai si sovrappone alla verità e che lo rende incredibilmente moderno e attuale.
«Sono proprio l’assenza di ambizioni letterarie, la goffaggine narrativa, l’ingenuità tecnica a rendere così singolari quei racconti. Che, quanto ad esattezza priva di erudizione, naturalezza elementare, efficace e disinibita alta capacità descrittiva, superano la scrittura di mestiere trasformando ogni testimonianza in una miniera d’oro», come sottolinea l’autore della Prefazione. Disseppellita dall’oblio dopo tre secoli, infatti, l’autobiografia di De Contreras conquista la crème degli intellettuali europei di inizio Novecento, da José Ortega y Gasset a Sciascia, approdando sulla scrivania di Leo Longanesi negli anni ’40 e ispirando, mezzo secolo dopo, ad Arturo Pérez-Reverte il personaggio del capitano Alatriste. Tra i suoi punti di forza, il linguaggio vero, amalgama di un parlato e della lingua franca che risuonava nei porti del Mediterraneo dell’epoca, la sua sincerità, la memoria strabiliante, lo slancio narrativo che mai si sovrappone alla verità e che lo rende incredibilmente moderno e attuale.
RECENSIONE
Credo che queste siano state
in assoluto le memorie più esilaranti mai lette fino ad ora,
l’autore/protagonista per noi è probabilmente poco conosciuto, eppure, da
quando il manoscritto è stato ritrovato agli inizi del XX secolo, ha
entusiasmato persone del calibro di Leonardo Sciascia e Benedetto Croce.
Come ci avvisa Longanesi
nella sinossi del libro, non ci si deve approcciare a questo testo con finalità
diverse dalla reazione di un sorriso spontaneo, che sentiremo tenderci la pelle
al suono della leggerezza con cui l’autore ci racconta di battaglie, esecuzioni
capitali, giornate trascorse in carcere e tradimenti.
Fu assassino già da ragazzo,
soldato, corsaro, eremita, governatore, rapitore, torturatore e torturato,
spia, puttaniere, uxoricida, giocatore… insomma un grandissimo figlio di
buonadonna che si lava la coscienza solo per buona pratica cristiana, e non
perché senta un’ombra di pentimento.
Sintomo della buona fede in
cui galleggia la sua coscienza, sono la buona dose di interventi divini che accompagnano
il racconto della sua vita:
“me ne
andai con Dio”, “grazie a Dio”, “che Dio li abbia in gloria”, “con l’aiuto di Dio”, “raccomandandoci a Dio”…
da bravo cristiano qual era.
Questo è un libretto che va
affrontato con leggerezza, una finestra sulla prima metà del 1600 in cui non
sono neppure descritte troppo dettagliatamente usanze o costumi, dettagli che
potrebbero interessare un appassionato del periodo, se non questo spirito di
precarietà della vita, in cui tutti i giorni ci si alza dal letto senza sapere
se alla sera si sarà ancora vivi per tornarcisi a coricare e, sembrerebbe,
senza avvelenarcisi eccessivamente.
“…poi si fece l’abbordaggio e
la battaglia fu assai dura… il nostro capitano allora ricorse ad uno
stratagemma: lasciò in coperta solo la gente necessaria e chiuse tutti i
boccaporti, di modo che bisognava o combattere o buttarsi a mare.”
“Siccome il bottino era assai
abbondante, il capitano ordinò che nessuno giocasse a bordo perché voleva che
tutti arrivassero a Malta ricchi… noi allora pensammo di giocare in questo
modo: disegnammo su una tavola un circolo grande come la palma di una mano, e
nel centro un altro cerchio minore della grandezza di un reale; dentro
quest’ultimo chi giocava metteva un pidocchio tenendo poi ben d’occhio ciascuno
il suo; puntavamo forti somme , ed il pidocchio che usciva per primo dal
circolo grande vinceva tutta la posta…”
Lo spirito con cui ho letto
le memorie di De Contreras è stato puro svago, spinto dal desiderio di
spulciare nella vita privata di un uomo aprendo una breccia temporale, e vi
posso assicurare che la semplicità con cui ci descrive certi avvenimenti vi
lascerà disarmati, costringendovi a far cadere ogni velo di rigore morale.
Ciò che rende questo libro
“simpatico” è l’incoerenza tra lo scopo per il quale il suo autore l’ha
scritto, e i sentimenti che suscita: di certo Alonso de Contreras intendeva
redigere un’autocelebrazione delle sue imprese, in particolare, e della sua
vita in generale. Si riteva un uomo scaltro e vincente, capace di scappare alla
morte e prendersi gioco del destino (sembra, ma non è certo, che sia stato
assassinato a Roma in un bagno pubblico…).
A mio parere, ma questo non
ha nulla a che vedere col testo da recensire, la copertina scoraggia possibili
lettori dall’accostarsi a questo testo: con il suo colore grigio e quella banda
bianca mi ricorda un testo scolastico e ammetto che questo mi ha fatto credere
si sarebbe trattato di un libro noioso, magari trascritto in un italiano che mi
avrebbe costretta ad una concentrazione da studente, e non a una rilassante
lettura.
Alla prossima, Elena.
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